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inquinamento

OMS, quasi un decesso su quattro per inquinamento

La formazione della cataratta è favorita dai raggi ultravioletti e dai fumi inquinanti. Ci si può proteggere con occhiali da sole a norma e vanno evitati gli ambienti insalubri
16 marzo 2016 – L’inquinamento è entrato con prepotenza nelle nostre vite fino, in alcuni casi, a spezzarle. Nel mondo il 23% dei decessi, pari a circa 12,6 milioni di persone l’anno, è riconducibile – secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) – a un ambiente insalubre. È stata pubblicata il 15 marzo la seconda edizione del volume Prevenire le malattie mediante ambienti sani: una valutazione globale dell’impatto delle patologie dovute a rischi ambientali.

I rimedi? Potremmo indicare i seguenti:

  1. almeno due ore e trenta minuti d’esercizio fisico la settimana (da moderato a vigoroso);
  2. evitare ambienti esterni inquinati;
  3. non utilizzare combustibili inquinanti all’interno della propria casa (ad esempio per cucinare).
    una prassi molto diffusa nei Paesi in via di sviluppo.

    A livello mondiale circa un quinto delle cataratte corticali è attribuibile alle radiazioni ultraviolette ovvero ai raggi solari non filtrati. Inoltre, avverte l’OMS, “l’impoverimento dello strato d’ozono nella stratosfera ha portato a un aumento dell’esposizione agli UV e, di pari passo, lo sviluppo del rischio di cataratta è probabile che aumenti ulteriormente. Anche l’esposizione ai fumi della cucina [non da metano o altre fonti pulite, aumenta il rischio di formazione della cataratta, con una stima del 35% attribuibile alle donne […] ossia al 24% dei casi di cataratta totali”.

    Quindi l’incidenza della cataratta potrebbe essere ridotta mettendosi, quando c’è un sole forte, occhiali dotati di filtri scuri e berretti con visiera così come riducendo l’esposizione a combustibili inquinanti per cucinare. Si tenga conto che, complessivamente, 8,2 milioni di morti per malattie croniche sono attribuibili all’inquinamento dell’aria, compresa l’esposizione passiva al fumo di tabacco.
    Fonti:
    WHO 2016 ; Panorama della Sanità

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